Relazione di Presentazione – Viareggio Progressista
Chi legge “Sulla spiaggia e di là dal molo”, forse il più bel libro di Mario Tobino, non può non essere colpito dal senso dell’armonia con il quale il borgo dei quattrocento abitanti si è sviluppato fino al secondo dopoguerra.
Armonia tra la città del turismo e della cultura e la città dei marinai e dei grandi costruttori di navi; ma soprattutto armonia tra sviluppo edilizio, turistico, imprenditoriale e le risorse ambientali, sfruttate con grande equilibrio.
Questa armonia, questo sviluppo che si basa, esaltandole, sulle risorse naturali, si spezza intorno al 1950. L’atto di morte è rappresentato dalla lottizzazione della così detta Città Giardino, che sancisce la rottura degli antichi equilibri ed il prevalere su tutto della rendita fondiaria. Comincia così la demolizione delle vecchie case e la costruzione dei palazzoni, prima nei luoghi più pregiati (via Manin, via Foscolo, via Buonarroti) poi nel resto della città. Quando il piano regolatore e la legge ponte non lo consentono più, alla fine degli anni sessanta del secolo scorso, si comincia a sventrare le case viareggine e con lo stesso volume si realizzano 5, 6, 7 mini alloggi; gli alberghi più famosi si trasformano in residence. Le prime periferie vengono costruite in modo caotico ed anche dove ci sono previsioni di piano regolatore si costruiscono quartieri dormitorio. Il caso più eclatante è Torre del Lago, vittima non solo della Lago-mare, ma anche della interpretazione distorta delle norme di un regolamento urbanistico risalente al primo dopoguerra, che consente la realizzazione di un piano in più sottoterra e di un piano mansardato, costruendo i nuovi alloggi senza alcun piano viario efficiente.
Negli ultimi venti anni le amministrazioni che si sono succedute non sono state in grado di effettuare interventi strutturali ed infrastrutturali capaci di modificare sostanzialmente lo sviluppo della città. Così ancora oggi la città è connotata da una facciata di rappresentanza, strutturata da un impianto storico forte, sottoposta a forti pressioni di trasformazione funzionale (turistiche e terziarie) ed un retro composto da una frangia disgregata di quartieri pubblici, di condomini e di villette, di aree industriali e di zone agricole coperte di serre, di aree abbandonate in attesa di essere coperte di cemento. Le pinete e le aree verdi versano in una condizione di degrado, impensabile fino a trenta anni fa. Su tutto infierisce un sistema di viabilità con un traffico sproporzionato rispetto al territorio comunale. Anche la lettura dello stato delle attività economiche evidenzia la crisi di un modello di sviluppo basato sulla rendita fondiaria e sulla rendita di posizione delle attività economiche, turistiche e commerciali.
Tutto questo ha prostrato la città: come non vedere infatti la relazione tra decadenza della città ed il degrado ambientale?
Nel corso del 2020 la pandemia da coronavirus ha accentuato le tendenze che erano già in atto, ed ha cambiato il lavoro e le relazioni sociali.
La crisi attuale non è paragonabile alla crisi del 2008, perché oggi la crisi economica impatta direttamente sull’economia reale. E’ una grande crisi contemporaneamente della domanda e dell’offerta, con il rischio di produrre danni strutturali non riparabili.
La crisi impone perciò dei cambiamenti sostanziali. Ci sono grandi beni comuni, a partire dalla salute delle persone, che si impongono come centrali nella vita politica e nella vita economica. La tutela della salute delle persone non è un lusso che ci si può concedere, ma diventa una precondizione dell’attività economica.
Anche la situazione sociale della città, come emerge dal rapporto sulla “Povertà” della Caritas pubblicato all’inizio di ottobre, è resa ancor più drammatica dalla crisi Covid, che ha fatto aumentare i nuovi poveri e che ricade in particolare su famiglie con minori, donne, giovani e persone in età lavorativa.
La crisi ha colpito specialmente gli anziani soli e le giovani generazioni. Gli abitanti di Viareggio nel 2019 erano 61.989 di cui italiani 57.015 con una età media di 51 anni, 4.974 stranieri con una età media di 38 anni. Gli abitanti sopra i 65 anni di età erano 16.120 italiani e solo 282 stranieri. Le famiglie residenti a Viareggio nel 2019 erano 28.744 e di queste il 29,1% erano formate da un unico componente. Il dato più rilevante che emerge è quello relativo all’indice di invecchiamento della popolazione (il rapporto moltiplicato per 100 tra il totale della popolazione con età superiore a 65 anni ed il totale della popolazione inferiore a 6 anni); tale rapporto pari nel 2011 a 200, mentre in Toscana è pari a 187,3 ed in Italia 148,7, è ulteriormente aumentato a 232,9 nel 2019. Quindi una popolazione invecchiata anche rispetto al resto di un Paese già vecchio, una città dove gli abitanti con età superiore a 65 anni sono il 26,5% della popolazione, addirittura il 12% sopra i 75 anni. Molte di queste persone anziane, oltre il 30%, vive da sola e vive con un basso reddito. A questo va aggiunto che la struttura urbanistica della città scoraggia i più anziani, che non sono in grado di muoversi con mezzi propri, e quindi di non poter usufruire del sistema cittadino dei servizi: il che li fa sentire isolati e svantaggiati, ma soprattutto emarginati.
Anche i giovani non stanno meglio; dai dati del censimento del 2011(oggi i dati sono sicuramente peggiorati) risulta che i giovani tra i 15 e 29 anni che non studiano e non lavorano sono il 21% (in Toscana il 17,1%) ed il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 33,6% (in Toscana 27,2%). A questo va aggiunto che i dati sul numero dei componenti delle famiglie sempre dal censimento 2011 conferma che è aumentato il numero dei giovani che rimangono sempre più a lungo nella famiglia di origine, quindi si dilata il tempo delle scelte, che accompagnano la definizione del che fare da grandi, e si rinvia l’assunzione delle responsabilità legate ai ruoli sociali, provocando disagio ed emarginazione. Anche i giovani ed i giovanissimi risentono della distanza, fisica, culturale e simbolica dal centro della città, luogo che rappresentava il polo di occasioni e di possibilità.
Se l’analisi della geografia urbana e della situazione economica e sociale danno un quadro così preoccupante, più desolante ancora è la situazione delle forze politiche cittadine. Infatti se facciamo un raffronto tra quello che è successo nella nostra città alle elezioni comunali del 2008 (anno della grande crisi) e le elezioni del 2020, scopriamo che i voti alle liste civiche, che pure esistevano nel 2008, sono passati dal 15% al 60%.
Alle elezioni amministrative del 2008 i partiti politici presenti erano 8 e avevano preso complessivamente 28.704 voti pari al 85%; liste civiche 7 e avevano preso 4210 voti pari al 15%.
Alle elezioni comunali del 2020 i partiti politici presenti sono stati 7 ed hanno preso 12.339 pari al 40%, liste civiche erano 15 ed hanno preso 17.639 voti pari al 60%.
Nella stessa giornata del 2020 si votava anche per le regionali e una parte dei voti persi dai partiti tra regionali e comunali sono andati alle liste civiche che componevano lo schieramento del candidato sindaco.
Quasi nessuno conosce i nomi dei segretari dei partiti, dei sindacati e delle organizzazioni economiche cittadine. E’ così perché in città sia i partiti politici che le rappresentanze economiche e sindacali, sono del tutto assenti nel dibattito politico cittadino e sulle scelte economiche, sociali e amministrative.
Oggi nella nostra città sono rimaste solo le istituzioni, ma queste da sole non bastano: senza gli attori, ed i così detti corpi intermedi, che le animano, non possono funzionare, specialmente in una situazione dove è aumentata la disoccupazione, sono aumentate le povertà, sono in discussione alcune fondamentali conquiste sociali. La grande responsabilità di tutto ciò è aver teorizzato il “mercato” quale unico strumento per garantire il progresso e lo sviluppo del Paese. L’intreccio di conservatorismo e di nuovismo neoliberale ha reso la politica italiana, nel suo complesso, impotente di fronte alle sfide della crisi finanziaria di questi ultimi anni, che ha eroso la capacità di rappresentanza sociale, ad esclusione forse delle sole associazioni del volontariato, e la funzione dei partiti. Altre elemento che ha indebolito le rappresentanze è stato anche l’elezione diretta del sindaco; ciò ha da una parte reso possibile il rinnovarsi delle rappresentanze istituzionali, ma ha fatto venir meno il peso della rappresentatività dei partiti e conseguentemente il meccanismo di selezione dei gruppi dirigenti.
Si pone quindi un grande problema e cioè quello di ridare vita alle associazioni che rappresentano gli interessi e i bisogni dei cittadini. Rianimare cioè i partiti politici e le rappresentanze sindacali senza i quali la città rischia una ulteriore decadenza. E’ per questo necessario riporre al centro del dibattito la questione degli ideali e dei grandi temi che segnano la vita degli uomini.
Si deve perciò marcare una forte presenza sui temi della politica nazionale (istruzione, sanità, lavoro ecc.) oggi quasi del tutto assenti nel dibattito politico cittadino, ma non tra la gente. In definitiva vanno riaffermati quell’insieme di valori che costituiscono il nocciolo duro dell’appartenenza non solo con la ragione, ma anche con il cuore. Nei confronti della politica locale bisogna tornare a valorizzare tutti i temi necessari per la costruzione di una città equa, solidale e ricca di opportunità, recuperando i rapporti con il mondo del lavoro, del volontariato, dell’ambientalismo e dell’imprenditoria.
La grande questione del nostro tempo è come affrontare le diseguaglianze e le infelicità che il rispiegare della globalizzazione ha inflitto non solo alla classe operaia, ma anche al ceto medio, che pensa e lavora e che sta subendo una nuova forma di sfruttamento attraverso il prevalere della rendita finanziaria sul lavoro.
E’ quindi necessario rilanciare con forza il diritto al lavoro, i diritti dei lavoratori e le battaglie per l’uguaglianza, riaffermando i principi base del welfare universale, secondo i quali davanti ai bisogni fondamentali non ci possono essere distinzioni di classe ed elaborare quindi un progetto culturale e politico capace di cogliere i bisogni profondi delle persone ed i cambiamenti da offrire, un progetto che metta al centro il lavoro, una giusta remunerazione, l’ambiente e la cultura, il diritto alla salute, alla casa, all’istruzione.
Tutto questo partendo da una utopia, che è rappresentata dalla città che vogliamo.
“Le città hanno un’anima?” Si chiede Salvatore Settis in -Se Venezia muore-. “Proviamo a pensare che la città abbia un corpo (fatto di mura, di edifici, di piazze, di strade…), ma anche un’anima. E che l’anima non siano solo i suoi abitanti, donne e uomini, ma anche una viva tessitura di racconti e di storie, di memoria e di principi, di istituzioni e progetti che ne hanno determinato la forma attuale e che guideranno il suo sviluppo futuro. Una città senza anima, di sole mura, sarebbe morto peso e funebre scenario.”
Cosa rimane dell’anima di Viareggio, se è vero che dal secondo dopoguerra la città è stata sfigurata da una crescita edilizia priva di qualsiasi disegno programmatico, carente di servizi, di luoghi di qualità urbana e disponibile ad ogni trasformazione, lasciando dietro di se il rimpianto dell’armonia e della bellezza passate, di tutto quello che avrebbe potuto essere e non è stato.
Per ritrovarne l’anima è necessario ricostruire una identità a questa città che ha perduto quella passata e non è riuscita a crearsene una nuova. Gli ingredienti per far ciò non possono che essere quelli del passato, che però vanno miscelati in modo nuovo, in una specie di “ritorno al futuro”. Perché il territorio non risulta affatto privo di identità e di connotazioni, basti pensare per le periferie orientali al disegno stellare dei canali, al lago, alle pinete, alla passeggiata e alle grandi potenzialità offerte dal risanamento e dalla valorizzazione del sistema ambientale, intorno al quale modificare e riqualificare la città costruita per la quale, da uno sguardo d’insieme, due aspetti emergono: gli squilibri interni al territorio costruito ed al contempo la possibilità della sua riqualificazione.
In definitiva è cioè necessario ritrovare e liberare il genius loci, l’essenza e lo spirito, ossia l’anima del luogo, per poter far convivere una “città di mura ed una città di uomini”, perché nella città degli uomini c’è un’anima, quella della loro comunità.
Le nostre città e le nostre abitazioni sono prodotti della fantasia e della mancanza di fantasia, della grandiosità e della meschina testardaggine. Ma consistendo di una dura materia, hanno l’effetto proprio degli stampi; noi non possiamo che adattarci ad esse. Gli uomini si creano nelle città uno spazio per la loro vita ed un ambito di espressione con sfaccettature innumerevoli, così che la configurazione urbana, che si è venuta a creare, determina il carattere sociale degli abitanti. Ora se si attuano trasformazioni storiche assai profonde, dovute all’ammassamento degli abitanti nelle città, al mutamento radicale delle tecniche produttive e nei modi del traffico avviene che le nuove esigenze cozzano assai duramente contro la vecchia forma urbana. Diventa così determinante il modo di pianificare la crescita della città e gli obiettivi che ci si pongono. Infatti la città deve permettere almeno queste esigenze: un ambiente che costringa alla vita comunitaria e che nel frattempo elargisca e garantisca la libertà individuale. Se non si può pianificare la felicità, almeno si può “tenendo gli occhi ben aperti” diminuire l’infelicità.
Allora il nuovo Piano strutturale che deve essere elaborato si deve porre preliminarmente due obiettivi: tutelare l’identità culturale degli insediamenti e garantire l’integrità fisica del territorio. La tutela dell’integrità culturale si persegue attraverso la cura della qualità del paesaggio, sia urbano che extraurbano, nella nozione sintetica di integrazione tra natura e storia, tra caratteri e peculiarità dei siti ed intervento dell’uomo, cioè quello che di unico e particolare caratterizza i luoghi. La tutela dell’integrità fisica si esercita con il coordinamento delle politiche ambientali, sia di prevenzione che di difesa, del suolo, dell’acqua e dell’aria.
Insieme a questi e non estranei a questi due obiettivi, per contrastare una città istigatrice di discordia tra i suoi abitanti o almeno renderla meno infelice, si devono perseguire altri tre comandamenti: sicurezza, bellezza, comodità. Tre concetti questi presenti da millenni nella nostra cultura del risiedere, ma oggi non riconosciuti perché nell’ampliare la città ha prevalso la rendita fondiaria, che non ha guardato né alla qualità, né alla forma della città; si è costruito ovunque senza badare a ciò che era ne a tutto quello che avrebbe potuto essere e non è stato, lasciando così dietro di se il rimpianto dell’armonia e della bellezza passata. Ricondurre l’attenzione su questi tre valori della classicità è indispensabile richiamo a ciò che deve guidare e dare senso alla nostra attuale opera di trasformazione del territorio se vogliamo che sia finalizzata al benessere della popolazione che vive a Viareggio.
L’obiettivo della sicurezza si persegue , non solo rendendo i luoghi più sicuri attraverso azioni di vigilanza delle forza dell’ordine, ma soprattutto ed essenzialmente operando sul territorio con scelte ed interventi capaci di fornire gli elementi essenziali (servizi, assistenza, verde pubblico, negozi e mercati, ecc) che trasformano un insieme di persone in una comunità non solo per il casuale luogo dell’abitazione, ma per una serie di interessi collettivi e per il contemporaneo sviluppo di rapporti sociali.
L’obiettivo della bellezza si persegue realizzando interventi per ottenere l’amenità dei luoghi e risanare luoghi degradati, per godere della piacevolezza di un percorso e trasformare in un luogo godibile l’anonimato di una strada periferica, per ritrovare la leggibilità del proprio passato in un viottolo in mezzo alla pineta di levante e ricostruire un percorso occluso dai rovi nella stessa pineta, quando si immagina il proprio futuro nella calma tiepida di un limpido tramonto e si riesce a eliminare i rumori e l’inquinamento atmosferico prodotto dal traffico veicolare. In definitiva la bellezza non è una sensazione opinabile, è invece un sentimento comune e comunicabile, che unifica il sentire di una comunità.
L’obiettivo della comodità si persegue realizzando scelte ed interventi che consentano di stare bene nel proprio ambiente, di sentirsi radicati nel luogo nel quale si vive, di fruire di servizi, che troppo spesso sono un lusso per pochi fortunati. Infatti la comodità sembra essere oggi raggiungibile solo, e non per tutti, all’interno della propria abitazione, per entrare di frequente in contrasto con la sfera pubblica esterna. Il risiedere piacevolmente in un luogo significa avere occasioni ed opportunità di fruire non solo della sicurezza e della bellezza, come sopra definite ma anche avere la possibilità di gestire il proprio tempo di lavoro e di svago riducendo, se non eliminando, i tempi di trasferimento e fruendo di servizi appropriati e facilmente utilizzabili.
Governare il territorio significa non solo programmare l’attuazione delle trasformazioni fisiche che si realizzano con i piani urbanistici, ma anche modificare la qualità e l’uso degli spazi urbani ed extraurbani, attraverso una sinergia tra le funzioni delle aree e dei manufatti, il tempo e la mobilità. Non a caso quando ci si trova di fronte a fenomeni di congestione di alcune infrastrutture viarie, si pensa che il problema si possa risolvere solo costruendo nuove strade, senza nemmeno cercare di percorrere altre soluzioni, quali il coordinamento degli orari e/o la distribuzione delle funzioni in altre zone della città, considerando la natura non come una estensione del nostro vissuto, ma come un limite all’azione umana.
Realizzare i cinque obiettivi descritti non vuol dire caricare gli strumenti urbanistici da elaborare di impegni eccessivi ed estranei alla loro specifica portata, bensì affermare che non possono essere pensati solo in termini di composizione delle rendite fondiarie, ma come possibilità ed occasione per riorganizzare complessivamente le modalità e le forme di insediamento della comunità.
L’idea è che questo patrimonio non debba andare distrutto per assicurare benessere, anche economico, alle future generazioni. Infine lo Statuto dei luoghi e le Invarianti strutturali, che assumono valore prescrittivo per le trasformazioni del territorio, si trasformano in un atto mediante il quale la comunità locale riconosce il proprio patrimonio territoriale e ne individua le regole di tutela, riproduzione e trasformazione.
Ma uno degli aspetti determinanti della legge risulta quello di affidare anche al controllo partecipativo dei cittadini il procedimento di formazione di qualsiasi piano. Lo fa attraverso l’istituto della partecipazione: “I soggetti pubblici e privati nonché i cittadini singoli o associati partecipano alla formazione degli atti di governo del territorio” (art. 8, c. 5); e “La Regione, in collaborazione con le province, la città metropolitana e i comuni, promuove e sostiene le modalità più efficaci di informazione e di partecipazione dei soggetti interessati al governo del territorio” (art. 36, c. 1), ed inoltre Regione, Provincia e Comuni “assicurano l’informazione e la partecipazione dei cittadini e di tutti i soggetti interessati alla formazione degli atti di governo del territorio di loro competenza nell’ambito dei procedimenti(art. 36, c. 2)”. La partecipazione così entra a far parte direttamente del procedimento di pianificazione ordinario, tanto da renderlo momento non solo di ascolto e coinvolgimento, quanto soprattutto di verifica e condizione di validità del procedimento stesso.
E’ questa della partecipazione una necessaria ed indispensabile occasione per riavvicinare i cittadini e tutte le migliori energie di cui la città dispone alla cosa pubblica, aprendo canali di comunicazione con i giovani, le donne, le forze del lavoro. Proprio perché la nuova legge urbanistica dispone che all’interno del Piano Strutturale siano ricondotti non solo i temi dell’urbanistica, ma tutti gli interventi, che comunque hanno una ricaduta sul territorio, è la diretta, concreta e decisiva partecipazione dei cittadini che consentirà di realizzare una città equa, solidale e ricca di opportunità per tutti.